di Agnese Canevari
L’anno 2009, anno europeo dedicato al tema della Creatività e dell’Innovazione, rappresenta una sfida particolarmente difficile in un momento storico di forte recessione economica. Innovazione e creatività, competenze chiave per lo sviluppo personale, sociale ed economico in un contesto di globalizzazione, da un lato assumono la connotazione di possibili leve per rispondere alla crisi, dall’altro costituiscono opportunità di costruire un mondo più giusto ed eguale. Lo sforzo di mobilitazione di tutte le risorse della società che la crisi richiede, in termini non solo economici, ma anche e soprattutto di capitale umano, implica un coinvolgimento forte delle donne quale motore della società. Come sottolineato da più parti, infatti, esiste una forte correlazione tra la competitività e il gender gap di una società. In più occasioni l’Unione Europea ha affermato che lo sviluppo delle politiche di genere e di pari opportunità sono strumento essenziale per la crescita economica. La valorizzazione del ruolo femminile nel mondo del lavoro, il perseguimento di una effettiva parità lavorativa tra uomini e donne, non solo per quanto riguarda l’occupazione ma anche l’eguaglianza retributiva, le politiche di conciliazione tra la vita professionale e familiare e una equa ripartizione tra uomini e donne delle responsabilità familiari rappresentano dunque azioni essenziali. Come ormai generalmente riconosciuto, l’incremento della partecipazione delle donne al mondo del lavoro ha ricadute positive sull’intera società, in termini sia di aumento del PIL sia di incremento della natalità. Uno studio dell’Ocse dimostra che oggi, diversamente da quanto avveniva in passato, più alti livelli di fecondità si rilevano in quei paesi che hanno tassi di occupazione femminile più elevati ed effettuano maggiori investimenti in politiche pubbliche di conciliazione e di sviluppo di servizi. Queste tematiche risultano particolarmente pregnanti per quanto riguarda la situazione italiana, in cui i dati emersi dalle recenti indagini sull’attuazione della parità tra i sessi mettono in rilievo un quadro fortemente deficitario. Sul piano internazionale, il rapporto sul Global Gender Gap 2008 del World Economic Forum pone l’Italia al 67° posto su 130 paesi (in risalita rispetto al 2007 in cui era all’84°), sulla base di quattro parametri: politica, lavoro, istruzione, salute. Tra questi, l’ambito educativo è quello in cui la disuguaglianza uomo-donna è più ridotta (43° posizione), mentre il gap di genere è particolarmente accentuato per quanto riguarda la partecipazione alla vita economica (85°). Al vertice della classifica si attestano i tre paesi scandinavi, Norvegia, Finlandia e Svezia, mentre si segnala, per citare solo alcuni tra i paesi dell’Europa occidentale, la Germania all’11° posto, la Gran Bretagna al 13°, la Francia al 15°, la Spagna al 17°. Indubbiamente tutte posizioni molto distanti dalla performance critica dell’Italia. E’ opportuno segnalare due elementi di riflessione. La Norvegia, che ha conquistato il primo posto, oltre ad aver promosso una partecipazione politica delle donne sostanzialmente paritaria, ha notevolmente ridotto il gap di genere in ambito economico grazie alla norma che ha introdotto il limite minimo del 40% per ogni sesso nella composizione dei cda delle imprese. L’incremento della presenza di donne ai vertici delle aziende, oltre a rispondere al principio di uguaglianza e pari opportunità, risulta essere determinante per il miglioramento delle performance aziendali, come dimostrato da numerose ricerche. Il dato italiano relativo alla presenza femminile nei consigli di amministrazione di aziende quotate, in assenza di questo tipo di azione positiva, è soltanto del 3% ed evidenzia l’enorme difficoltà di accesso delle eccellenze femminili alla leadership economica. Per quanto riguarda la Francia, l’avanzamento di posizioni dal 51° posto del 2007 al 15° del 2008 è essenzialmente stato determinato, come sottolinea il rapporto, sia da un miglioramento delle opportunità economiche per ciò che concerne una maggiore uguaglianza di retribuzione salariale, sia soprattutto da un netto incremento della presenza di donne nei luoghi decisionali della politica e ai vertici della pubblica amministrazione. Per quanto riguarda la rappresentanza politica femminile in Italia, in assenza di normativa specifica, è emblematico il risultato delle elezioni legislative di aprile 2008 che ha evidenziato un lieve ma insufficiente incremento: le donne elette in Parlamento sono circa il 20%, dato inferiore alla media europea (24% nei parlamenti nazionali dell’Europa a 27) e comunque molto lontano dal 47% della Svezia o dal 42% della Finlandia. Ciò configura una “segregazione verticale diffusa”, in quanto agisce in modo analogo in tutte le aree della vita sociale e in tutte le gerarchie dei vari livelli considerati e pone innanzitutto un problema di democrazia. Per quanto riguarda l’occupazione femminile, i dati Istat (rapporto 2008) evidenziano che la media del tasso di occupazione femminile in Italia, pari al 46,6% e molto lontano dall’obiettivo di Lisbona del 60%, presenta una forte disparità rispetto a quello maschile che si attesta al 70,7%. Per comprendere pienamente questo dato bisogna considerare sia il fattore geografico (il tasso di occupazione femminile presenta notevoli differenze tra le diverse zone del Paese (è del 36,6 % nel Mezzogiorno, del 59,7% nel Nord), sia il fattore generazionale, con forti differenze tra le fasce di età. Sono altresì interessanti i dati concernenti il part time, da cui emerge che tale organizzazione del lavoro rimane una scelta prevalentemente femminile. Infatti risulta utilizzato dal 26,9% delle donne a fronte del 5% degli uomini. Secondo una indagine ISTAT relativa al decennio 1996-2006 le lavoratrici dipendenti part time sono aumentate di oltre il 71% (a fronte di un aumento del 9% degli uomini). L’incremento si è concentrato solo nella fase adulta del ciclo di vita, in corrispondenza delle classi di età in cui le donne si trovano di fronte alla necessità di conciliare il lavoro retribuito con quello familiare, in maggioranza per la cura dei figli. Dalla medesima indagine emerge che il modello prevalente di partecipazione al mercato del lavoro per le donne non è più alternativo, per cui non si impone una scelta netta tra lavoro e famiglia, né alternato in relazione ai periodi del ciclo di vita (ingresso nel lavoro – uscita per la nascita di un figlio – rientro nel mercato del lavoro), ma piuttosto di tipo cumulativo-conciliativo: si cumulano i ruoli, di madre e di lavoratrice, in modo stabile, ma il peso della loro conciliazione ricade quasi interamente sulle donne e ostacola l’estensione della partecipazione. Il lavoro di cura è appannaggio quasi esclusivo delle donne e vi è una scarsa condivisione delle responsabilità e dei carichi familiari: il 77,7% del lavoro familiare compete alle donne. La donna italiana vi dedica 5 ore e 20 minuti ogni giorno a fronte di 1 ora e 35 minuti degli uomini. Sarebbe importante, anche a livello simbolico, promuovere una diversa cultura della responsabilità genitoriale maggiormente condivisa. Altri elementi che caratterizzano la partecipazione femminile al lavoro sono: la scarsa presenza delle donne nelle posizioni apicali, la difficoltà di progressione nelle carriere, la differenza retributiva, maggiore nel settore privato rispetto a quello pubblico. Recenti indagini confermano che le donne in Italia, nonostante gli ottimi risultati scolastici, hanno grandi difficoltà a raggiungere ruoli direttivi. Anche quando le donne, sfondando il “tetto di cristallo”, conquistano posizioni apicali (dirigente/direttivo) i salari sono pari a tre quarti di quelli dei loro colleghi maschi: una dirigente guadagna il 26,3% in meno di un collega maschio. Più in generale, il differenziale retributivo di genere in Italia si attesta al 23,3%, a fronte della media europea del 15%. Nonostante il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione e ribadito dall’art. 51, la situazione italiana presenta dunque notevoli criticità. Dove sono le pari opportunità in una società in cui “una metà del cielo” è un po’ meno uguale dell’altra? Si impone quindi per il nostro Paese, in cui il dato della disparità tra i sessi è trasversale ai vari ambiti, una svolta sul piano culturale oltre che politico. Si tratta di investire sulle risorse e sui talenti femminili, incentivando l’occupazione femminile, l’accesso alle carriere e alle posizioni apicali delle aziende pubbliche e private e promuovendo la parità tra i sessi in tutti i processi di decision making. Un investimento forte, tramite la promozione di azioni positive per una piena inclusione delle donne in tutti gli ambiti della società, potrebbe rivelarsi una delle carte vincenti per affrontare la crisi economica. Forse è sulla creatività delle donne e sulla loro capacità di innovazione che si dovrebbe puntare per un nuovo modello economico e di società.
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