Il linguaggio sessista: una garbata polemica con Massimo Arcangeli su Repubblica

Alle redattrici, ai redattori, alle lettrici e ai lettori di Repubblica

Vogliamo invitarvi a  riflettere su un argomento a proposito del quale i mezzi di informazione possono avere una grande influenza. Negli ultimi giorni, in due importanti inserti su questo giornale, sono apparse espressioni poco rispettose della “parità di genere”. Il primo è il blog del professor Arcangeli, che, interpellato da una professionista su come usare i titoli professionali al femminile, consiglia espressioni come “la ministro”; il secondo, ancora più incredibilmente, è l’appello delle donne “Per una Repubblica che ci rispetti”, le cui firmatarie, cittadine illustri di questo Paese, si definiscono: sindaco, deputato, commendatore, e sono tutte donne.

Ora, la grammatica italiana è molto chiara: i nomi in –o formano il femminile in –a. Ragazzo/ragazza, maestro/maestra. Direste mai il maestra? O il casalinga? O l’uomo infermiera? E quindi: ministra, avvocata, sindaca, deputata. Se a qualcuno ‘suona male’, vuol dire che c’è un pregiudizio, uno stereotipo che sta facendo capolino. Non è il vocabolo ad essere strano, è il suo significato. La grammatica parla chiaro, quindi il problema non è la forma, ma ciò a cui essa rimanda. Non siamo abituati a queste parole al femminile perché le donne non hanno mai ricoperto quelle posizioni. Ora che le ministre, le avvocate e le architette ci sono, usiamo le parole giuste, perché l’eccezione del vocabolo (un nome maschile con un articolo femminile) richiama l’eccezionalità del significato: finché useremo espressioni anomale per indicare le donne, la loro presenza in posizioni di prestigio sarà sempre percepita e perpetuata come un’anomalia.

E non basta: sappiamo bene che se la sindaca suona male, le sindache suona malissimo, ma ciò non vuol dire che sia sbagliato; anzi, è la conferma di quanto appena detto: se la sindaca è rara e si fa fatica a trovarne una al singolare, figuratevi quante possibilità ci sono di usare questo nome al plurale! E meno si usa, più suona strano.Quindi, coraggio: cominciamo ad usarlo!

La scelta delle parole è importante perché la lingua in cui ci esprimiamo veicola il nostro pensiero. Non siamo razzisti, e le nostre parole sono coerenti col nostro pensiero. Non siamo nemmeno sessisti: e non dovranno esserlo nemmeno le nostre parole!

Chiamereste mai “negro” un vostro conoscente di colore? E la persona che vi pulisce casa, la chiamereste “serva/o”? E il netturbino, che tutte le mattine si sobbarca l’ingrato compito di pulire le strade della città, lo chiamereste monnezzaro? È chiaro che no, perché abbiamo sviluppato la consapevolezza che questi vocaboli sono portatori di pregiudizi e li abbiamo coscientemente, volutamente sostituiti con altri più rispettosi, grazie anche all’aiuto delle istituzioni e dei mezzi di informazione, tra cui la stampa, appunto.

Da oltre due decenni studiose e studiosi italiani affrontano il problema del sessismo linguistico e concludo con le parole di una di loro, Alma Sabatini: “Quando ci si vergognerà altrettanto di essere considerati “sessisti” molti cambiamenti qui auspicati diventeranno realtà “normale”.

I cambiamento possono essere incoraggiati, se si crede in essi: questa lettera è il nostro piccolo contributo.

 Post scriptum: per i dubbi linguistici relativi al femminile, esiste un ottimo strumento: Il genere femminile nell’Italiano di oggi: la norma e l’uso, realizzato da Cecilia Robustelli, docente di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, su incarico della Direzione Generale per la Traduzione della Commissione Europea nel 2007.

 Sottoscritto da un gruppo di lettrici e lettori diversamente impegnati nei campi dell’insegnamento scolastico e universitario, della ricerca scientifica, della cultura e della comunicazione:

 Raffaella Anconetani, Docente di italiano e latino presso il Liceo Scientifico di Roma

Rossana Annacondia , Docente di materie letterarie, latino e greco – Liceo “Virgilio” di Roma

Maria Antonietta Berardi, Dirigente T. A. presso il  CNR-IBF

Francesca Brezzi, Professoressa di Filosofia morale, “Roma Tre”

Marcella Corsi, “Sapienza” Università di Roma

Livia De Pietro, Prof.ssa di Lettere e critica letteraria

Aureliana Di Rollo, Prof.ra Liceo “Foscolo” di Albano L.

Maria Pia Ercolini, Docente di Geografia, IIS “Falcone” di Roma

Renata Grieco Nobile, Professoressa, Scuola Media di Riano

Alessandro Gentilini, Professore a contratto all’Università “Sapienza” di Roma

Simona Luciani, Prof.ra, Liceo “J.F.Kennedy” di Roma

Nadia Mansueto, Docente di Italiano e Latino al Liceo Classico “Socrate” di Bari

Rosanna Oliva, Presidente di “Aspettare stanca”

Maria Nocentini, Docente di Italiano e Latino al Liceo “Joyce” di Ariccia (Roma)

Cristina Sanna, Giornalista di “RomaGiovani” e Com. Pari Opportunità dell’Università Tor Vergata

Maria Serena Sapegno, Prof. di letteratura italiana ‘Sapienza’ Università di Roma

Ilaria Tanga, Radiologa, Ospedale Civile “Paolo Colombo” di Velletri

Maria Cristina Zerbino, Docente di materie letterarie, latino e greco, Liceo “Montale” di Roma

 Scritto lunedì, 8 giugno 2009 alle 19:30

http://linguista.blogautore.repubblica.it/2009/06/08/il-sessismo-linguistico-un-contributo-collettivo-al-dibattito/#comments

4 risposte a “Il linguaggio sessista: una garbata polemica con Massimo Arcangeli su Repubblica”

  1. Quante insegnanti tra le sottoscrittrici!!!Perchè non parliamo del fatto che alle donne è sempre riservato solo il lavoro di insegnate e di bibliotecaria? Essere qualcos’altro in Italia è quasi proibito. Chi ci prova ha una vita dura, piena di discriminazioni e rinunce … come dire, “provaci, ma a tuo rischio e pericolo” .
    Saluti

    1. Avatar aspettarestanca
      aspettarestanca

      Effettivamente le insegnanti, a tutti i livelli, anche nelle università italiane, sono tante, ma se vai alle statistiche delle presenze ai vertici, anche in questo settore trovi molti uomini, prova di discriminazione e conseguente vita dura e rinunce per le donne.
      Per quanto riguarda l’alto numero di sottoscrittrici dell’appello, si spiega non solo per il contenuto, ma anche perchè l’iniziativa è partito da insegnanti .

  2. Sono un professore a contratto della Sapienza (portoghesistica). Se può essere di qualche valore statistico, sottoscrivo pienamente l’articolo sopra riprodotto, che a mio avviso è argomentato in modo ineccepibile.

  3. “si sobbarca l’ingrato compito”
    Sono d’accordo sui femminili (una volta, però, si sarebbe detto “avvocatessa”, come “dottoressa”), su sobbarcarsi, invece, segnalo:

    sobbarcarsi

    Devoto-Oli:
    sobbarcare (verbo trans.) – Sottoporre a oneri o responsabilità gravose: s. la famiglia a gravi sacrifici; rifl. (più com.) assumersi un impegno, un onere: sobbarcarsi a una spesa. [Der. di barca col pref. so(b)].

    http://www.achyra.org/cruscate/viewtopic.php?t=2455

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