Il 19 ottobre ha segnato l’avvio, presso la I Commissione del Senato, della riforma elettorale in Parlamento, non approvata nella precedente Legislatura e apre prospettive per restituire il diritto di voto alle elettrici e agli elettori. Una riforma che già all’epoca era ritenuta necessaria dallo stesso Senatore Roberto Calderoli, padre dell’attuale legge elettorale, che presentò il DDL 1392 per il ritorno al mattarellum, per venire incontro, a suo stesso dire, ad una richiesta fortemente diffusa.
Prescindendo dal significato politico collegato alla scelta del Senato, va sottolineato che questo ramo del Parlamento, investito in prima battuta della materia anche nella precedente Legislatura, aveva già iniziato in quella corrente a farsene carico mediante le audizioni, avvenute il 10 giugno 2009, dei rappresentanti dei proponenti i due disegni di legge d’iniziativa popolare in materia elettorale.[1]
E’ opportuno soffermarsi dapprima, e non solo per il rispetto dell’ordine cronologico, sul DDL n. 2, [2] rinviando ad un successivo approfondimento le questioni affrontate nel secondo disegno di legge d’iniziativa popolare, il n. 3.[3].
Il Disegno di Legge d’iniziativa popolare n.2. porta in Parlamento le Norme di democrazia paritaria per le assemblee elettive, proposte con la Campagna «50E50 ovunque si decide» promossa da UDI – Unione donne in Italia (già UDI – Unione donne italiane), associazione politico-culturale operante in Italia dal 1945.L’obiettivo della Campagna è stato la promozione e il riconoscimento della presenza paritaria di entrambi i sessi in ogni luogo decisionale, quale presupposto e condizione di democrazia compiuta.
Finalmente, quindi, questa volta non sarà necessario, come avvenne nella scorsa Legislatura, premere per evitare che sia rinviato ad un momento successivo l’esame delle proposte riguardanti le norme di garanzia sulla rappresentanza di genere (6 su un totale di 26).
Per quanto riguarda, invece, il confronto sulla riforma elettorale in atto da tempo dentro e tra le forze politiche si è discusso dei vari sistemi trascurando che ci troviamo con un Parlamento nel quale le donne sono presenti ancora in numero esiguo, (ben lontano dalla massa critica minima del 30%, mentre il corpo elettorale è composto per la maggior parte di donne) e dimenticando che l’articolo 51 della Costituzione prevede appositi provvedimenti della Repubblica per promuovere pari opportunità tra donne e uomini per l’accesso in condizioni di uguaglianza agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Per essere benevoli si potrebbe dire che le posizioni attribuibili all’uno o all’altro partito riguardano ipotesi ancora di larga massima, che non arrivano al livello di approfondimento che comporterà, necessariamente, l’esame della rappresentanza di genere.
Ci auguriamo che al più presto i vertici dei partiti, anche se composti in maniera massiccia da uomini, si rendano conto che in una delicata fase della nostra democrazia, (connotata da perdita di credibilità dei partiti e delle stesse istituzioni) farsi carico della questione delle norme di garanzia per la rappresentanza di genere, presenta perlomeno per il vantaggio di poterla utilizzare per evitare ulteriori perdite nell’elettorato femminile e recuperare parte dell’astensionismo dilagante sia tra le donne che tra gli uomini.
La “Rete per la doppia preferenza di genere” ha predisposto un documento “per un sistema elettorale women friendly”, che illustra i meccanismi di azioni positive (qualunque sia il sistema elettorale di riferimento), propone misure di sostegno alle candidate e la cosiddetta “par condicio di genere”per la parità nell’accesso ai mezzi di informazione. Il documento propone, inoltre, criteri per la selezione delle candidature e il divieto di candidature multiple, meccanismi che, se applicati alle candidature di uomini e donne, ridurrebbero alcune delle cause che hanno nel tempo consolidato una dannosa oligarchia maschile nelle assemblee elettive.
Per approfondire le proposte della “Rete per la doppia preferenza di genere”, ci sembra utile esaminare le varie ipotesi di riforma delle quali si discute.
Molte le proposte presentate in Parlamento. Iniziamo dal maggioritario uninominale a doppio turno, per il quale si è espresso, in sede di assemblea nazionale, anche il maggior partito di opposizione: il PD.
Se si immaginasse di tornare al maggioritario uninominale col quale già abbiamo votato più di una volta, si conoscono i meccanismi
- che portano ad assegnare i collegi meno sicuri a candidati meno forti:
- che penalizzano in maggioranza donne, per vari motivi che è inutile qui elencare.
- che non permettono un confronto elettorale in condizioni di parità, riducono la libertà di scelta delle elettrici e degli elettori e incrementano l’astensionismo.
- che comportano il ritorno alle urne per il subentro
Si rischierebbe di deludere profondamente non solo le donne, ma anche quanti si trovano in quell’ampio numero di italiani non esperti di tecniche elettorali che vedono solo nel ritorno alle preferenze la possibilità di veder ripristinato il diritto a scegliere i propri rappresentanti, rifiutano il maggioritario e sono a favore del proporzionale con una o più preferenze.
Inoltre ci si contrapporrebbe a quei partiti che per vari motivi non intendono rinunciare ad un ritorno alle liste proporzionali.
Posizioni di partenza così differenziate e apparentemente in contrasto tra loro, potrebbero riavvicinarsi se si considerasse il maggioritario uninominale con due candidati (un uomo e una donna).
Si tratta del maggioritario uninominale illustrato dalla costituzionalista Lorenza Carlassare (che da qualche tempo ne approfondisce le caratteristiche), illustrate anche in un lungo saggio. Col maggioritario uninominale “alla Carlassare” ogni partito, gruppo di cittadini, coalizione o polo, presenta nel collegio uninominale due candidature abbinate, sicché è indifferente ai fini della vittoria sulle formazioni avversarie che i voti siano dati all’una o all’altro: il seggio, infatti, sarà vinto dalla coppia i cui voti sommati superino quelli delle altre coppie in competizione. All’interno della coppia vincitrice, il seggio andrà poi al candidato o alla candidata che avrà ottenuto più voti dell’altro.
Si raggiungerebbero in un colpo solo importanti risultati, dei quali qui citiamo solo alcuni.
- Si rispetterebbe il principio della parità di accesso, almeno a livello di candidature, voluta dalla Costituzione e proposta al Parlamento col D.D.L. d’iniziativa popolare che è stato sottoscritto da moltissimi cittadini, uomini e donne.
- Il corpo elettorale riacquisterebbe la libertà di scegliere, attraverso la possibilità di esprimere la preferenza per uno piuttosto che per l’altro dei due candidati, sia la persona che la posizione politica più convincente all’interno di una coalizione o di un partito, versus un voto obbligato su un nome (sia pure eventualmente individuato mediante primarie).
- Si incentiverebbero i candidati e le candidate alla ricerca di consensi, anche nel caso dei cosiddetti collegi sicuri, escludendo sorprese.
- Si ridurrebbe il fenomeno dell’astensionismo.
- Si eviterebbe la necessità di tornare alle urne nel caso venga meno l’eletta/o.
Interessante anche considerare le conseguenze della presenza di due candidati nel collegio uninominale sul formarsi delle alleanze elettorali e le ripercussioni sulla stabilità dei Governi, che variano anche in funzione della soluzione scelta nel caso di mancata assegnazione del collegio al primo turno.
Difatti, è possibile prevedere la selezione tra i due candidati già al primo turno sulla base del raggiungimento del maggior numero di preferenze, con o senza una soglia minima, oppure il rinvio al successivo, salvo la selezione comunque al primo turno nel caso di superamento della soglia della metà più uno delle preferenze.
Altrettanto interessanti considerazioni potrebbero essere fatte, sia in linea generale che per quanto attiene alla parità, sul maggioritario binominale, finora non presente tra le proposte parlamentari, come sul proporzionale con e senza preferenze, ma le rinviamo ad altri contesti.
Roma, 26 ottobre 2010 Rosa Oliva
[2] illustrato nell’audizione del giugno 2009 dalle rappresentanti dell’UDI, promotrice nella scorsa Legislatura del DDL N. 1900
[3] che riproduce il DDL N.1936, materia oggetto anche di un’interessante proposta d’iniziativa dell’IDV (AS n. 1212 Sen. Belisario Felice ed altri “Nuove disposizioni in materia di risoluzione dei conflitti di interessi di incandidabilità e di ineleggibilità alla carica di deputato, di senatore, di sindaco nei comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti e di presidente della provincia, nonché di disciplina dello svolgimento delle campagne elettorali. Delega al Governo per l’emanazione di norme in materia di conflitti di interessi degli amministratori locali “.
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