Alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi che denunciano professori che “inculcano agli studenti valori diversi rispetto a quelli delle famiglie” e di genitori che non hanno la possibilità di educare i propri figli liberamente “e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di stato”, ci chiediamo di quale paese pensi di essere il premier.
E’ evidente la strumentalità di dichiarazioni rilasciate in un‘occasione ben precisa come il congresso dei crisitiano-riformisti, dichiarazioni che hanno il tono assertorio e semplificato di uno spot pubblicitario mirato alla conquista di un elettorato cattolico ormai esasperato. Tuttavia ci interroghiamo sull’arroganza di una politica scolastica che da anni priva la scuola di risorse materiali e professionali e poi le rinfaccia di non funzionare.
Chi sono gli insegnanti di cui parla il premier? Certo non quelli che ogni giorno entrano in classe, senza strumenti che li aiutino a svolgere il loro lavoro, in una scuola che negli ultimi anni ha conosciuto solo tagli e decurtazioni ben oltre qualsiasi razionalizzazione degli eventuali sprechi che è difficile immaginare, visto che sulla scuola si è sempre mirato a risparmiare.
Chi sono i genitori di cui parla? Certo non sono quelli che incontriamo quotidianamente nelle nostre scuole, preoccupati per il futuro dei loro figli e disposti a coprire le carenze di una scuola stremata portando da casa quegli strumenti di ordinario consumo che vanno dalla carta per le fotocopie alla carta igienica.
Ci aspetteremmo parole diverse da coloro che per il loro ruolo istituzionale dovrebbero impegnarsi per dar valore a questa scuola e rispondere delle scelte di politica scolastica e formativa. Assistiamo invece a una svendita di fine stagione proprio in concomitanza con il periodo delle iscrizioni, in cui si addita la superiorità del modello della scuola confessionale.
Non vogliamo entrare nel merito di quanto possa essere libera una scuola che nasce orientata su valori religiosi o di quanto essa si ponga al di sopra delle logiche di un mercato dove tutto può essere acquistato.
Quello che si chiede è una scuola pubblica su cui si investe invece di lesinare, con rigore e chiarezza d’obiettivi, una scuola in grado di dare risposte alle esigenze formative degli studenti che con i titoli di studio che essa rilascia entrano nel mondo del lavoro e delle professioni. Una scuola che collabori con le famiglie in un compito educativo sempre più difficile e complesso.
E ci piacerebbe che le dessero fiducia coloro che guidano il nostro paese e che di quelle scelte hanno tutta la responsabilità.
(28 febbraio 2011)
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