Decreto legge 12 agosto 2011, n. 1924
“Ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo”
Una manovra incostituzionale, iniqua, dannosa e che si occupa di sviluppo solo nel titolo
Una manovra che contrasta anziché favorire lo sviluppo
Una serie di modifiche potrebbero favorire lo sviluppo se soltanto si esaminassero le novità da introdurre con un’attenta visione di genere. Innanzitutto evitando di penalizzare le donne, come invece il testo del Governo fa, e, in maniera più generale, favorendo la creazione di posti di lavoro ed evitando di tagliare servizi indispensabili per aumentare l’occupazione femminile, per avvicinare l’Italia ai dati europei ed aumentare il PIL.
Inaccettabile poi che, a fronte di norme definite a sostegno dell’occupazione (art. 8 ) e sul collocamento obbligatorio non si sia introdotta la data certa per le dimissioni.
Così come non solo è un’ingiustizia nei confronti delle donne, ma costituisce l’ennesima mossa miope di un Governo che non ha a cuore lo sviluppo, non aver previsto, insieme con la misura prevista dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel privato, che i fondi derivanti siano investiti in servizi per la conciliazione, onde non deprimere ulteriormente l’occupazione femminile. Si tratta del secondo scippo, dopo quello più volte denunciato del tesoretto (4 miliardi di euro), dei risparmi per il precedente innalzamento.
Una manovra incostituzionale
C’è da augurarsi che il Parlamento, in occasione della conversione in legge del decreto legge che ha approvato la manovra elaborata dal Governo possa eliminare o ridurre almeno alcuni dei contenuti più inaccettabili e incostituzionali.
Altrimenti sarà necessario ricorrere alla Corte Costituzionale.
La mancata lotta all’evasione fiscale, con la esigua riduzione (art.2, comma 4) dell’importo per le transazioni (le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore, di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono adeguate all’importo di euro duemilacinquecento a fronte del precedente importo di 3000) e i sacrifici imposti solo a coloro che già pagano pesantemente: non sono in linea con l’art. 53 della Costituzione, che, proprio per la sua rilevanza è inserito non nella parte dei rapporti economici, ma di quelli politici, che stabilisce:
“ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”.
E’ inaccettabile che la maggior parte dei redditi autonomi, che già notoriamente sfuggono in buona parte alle imposte dirette, sarà esentata dalla sovrattassa: solo notai, farmacisti e dirigenti d’azienda dichiarano, in media, più di 90 mila euro l’anno. I medici e i chirurghi non arrivano a 65 mila euro, i commercialisti dichiarano poco più di 50 mila euro, per non parlare dei gioiellieri (14 mila euro lordi annui). A versare il contributo di solidarietà, a conti fatti, saranno appena 511 mila contribuenti. Il gettito sarà di 726 milioni di euro nel 2012, di 1,6 miliardi nel 2013 e nel 2014. E questo nonostante le precauzioni adottate dal governo: la deducibilità dall’imponibile (non essendo una tassa, ma un contributo), il che riduce il prelievo effettivo al 3-3,5% sulla prima fascia e al 6-7% oltre i 150 mila euro, e il suo «plafonamento». Infatti, per i redditi maggiori ci sarà una soglia di sbarramento, fatta in modo tale che il prelievo non possa superare il 48%.
Non si può ignorare il duplice criterio della capacità contributiva abbinato a quello della progressività. Imporre una scelta a vantaggio soltanto dei componenti e dei principali sostenitori dell’attuale maggioranza viola il principio costituzionale imposto al sistema tributario.
Una manovra dannosa
Gravissimo il tentativo del regalo all’ecomafia introdotto con la norma che modifica la tracciabilità dei rifiuti. Art. 6, comma 2)
Una manovra forte coi deboli e debole coi forti
I tagli, anzi la scure imposta dall’emergenza economica possono essere l’occasione per interventi coraggiosi e non ben accetti dai sostenitori ai quali le varie forze politiche ( maggioranza o opposizione) fanno riferimento. Ma nessuno finora ha annunciato in Parlamento iniziative per eliminare o ridurre le agevolazioni fiscali alle Chiese (tutte) e la riduzione del contributo sull’IRPEF dall’8 al 5 x 1000. Così come aumenterebbero le entrate per l’ICI se si eliminasse il criterio dell’esenzione per gli immobili destinati anche parzialmente (e a volte pretestuosamente) al culto.
L’Autorità per la concorrenza non si preoccupa del fatto che un albergo paghi l’imposta (che grava come costo), mentre 50 metri più avanti un ex convento, trasformato in struttura recettiva, sia esente.
Roma. 15 agosto 2011 Rosanna Oliva
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