Se non le donne, chi? Mobilitazione 11 dicembre 2011. :“per anni abbiamo votato una rappresentanza irregolare, composta da una maggioranza schiacciante di uomini. Abbiamo votato in cambio di niente, infatti questo paese non ci somiglia, non ci racconta. Ma adesso basta. Adesso attenti: una donna un voto. Quando chiederanno il nostro voto non lo daremo più né per simpatia né per ideologia ma solo su programmi concreti e sulla certezza dell’impegno di 50% di donne al Governo. Il 50% non è quota rosa, non serve a tutelare le donne, serve a contenere la presenza degli uomini non è un fine ma solo un mezzo per rendere il paese più vivibile ed equilibrato, più onesto più vero.”
Pubblichiamo le riflessioni di Antonella Anselmo, Comitato Promotore Seenonoraquando, dopo il 1° Forum delle Elette nelle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ( Roma,l 17 e 18 novembre 2011) e il convegno “Viaggio nella rappresentanza politica delle donne” organizzato da Snoq – Roma ( 23 novembre 2011, Palazzo Valentini. Provincia di Roma
Dal 13 febbraio 2011 ad oggi: il cammino delle donne verso nuovi processi di democratizzazione.
La mobilitazione delle donne italiane scese in tutte le piazze d’Italia il 13 febbraio 2011 per affermare e difendere la dignità delle donne e del Paese, ha segnato la presa di coscienza di una forza unitaria collettiva, nella dichiarata volontà di rinnovamento della politica italiana. La nuova presenza della componente sociale femminile – coincidente con oltre metà della popolazione nazionale – ha dunque risvegliato l’impegno civico e determinato l’assunzione di rinnovate responsabilità nella sfera pubblica per il superamento di quella che fino ad oggi è stata definita una democrazia “incompiuta”, manifestatasi nel momento più grave della crisi economica e politica europea.
L’affermazione dei diritti civili delle donne – dignità e libertà, in tutti gli ambiti della vita sociale e familiare – ha inevitabilmente posto la questione dell’effettivo e pieno esercizio dei loro diritti politici. L’assenza delle donne nei centri decisionali produce infatti politiche del tutto inadeguate rispetto alle loro esigenze primarie.
Ma non solo.
La garanzia di pienezza dei diritti politici delle donne impone dei correttivi alle disfunzioni della democrazia rappresentativa, come si presenta nelle forme tradizionali.
Ancora oggi le criticità di maggiore evidenza sono quelle della sottorappresentanza.
Si intende per sottorappresentanza, o democrazia incompiuta, la scarsa percentuale di donne presenti in posizioni apicali in campo politico, economico e sociale.
I primi effetti della nuova “coscienza” delle donne sono stati gli esiti delle elezioni amministrative – in primis si ricordi l’esperienza esemplare a Milano, che ha consentito la formazione di una giunta 50/50 – e dei referendum sui beni comuni, nonché l’elaborazione di un “Accordo di azione comune per la democrazia paritaria”. In tale documento i movimenti e le associazioni di donne chiedono un cambiamento da parte delle forze politiche per garantire, in tema di rappresentanza, l’adeguamento ai principi di parità dei sessi, meritocrazia, trasparenza nelle candidature, coinvolgimento della società civile.
Inoltre l’organizzazione dei movimenti delle donne ha anche contagiato la politica, influenzando i rapporti di forza interni tra le elette e le dirigenze dei partiti politici di appartenenza.
Un primo effetto è stata l’istituzione permanente del Forum delle Elette nelle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
Dunque, si comincia a diffondere la consapevolezza, in alcune componenti delle forze politiche, che qualsiasi riforma elettorale, ai vari livelli di governo e indipendentemente dai meccanismi elettorali prescelti, dovrà tener conto dei principi costituzionali a fondamento della democrazia paritaria.
Ma sebbene le resistenze al cambiamento si preannunciano assai difficili da sormontare, il lento e faticoso cammino delle donne oramai è stato intrapreso.
La ricchissima elaborazione passata e attuale del pensiero politico, giuridico e culturale dei movimenti e delle associazioni di donne impegnate sul tema della democrazia incompiuta, mi sembra oggi indirizzata verso un duplice obiettivo, che appare inscindibile: la democrazia rappresentativa paritaria e la democrazia partecipata.
Mi auguro con la presente riflessione di contribuire a chiarire tali nozioni nell’auspicata convinzione che il vero rinnovamento debba essere accompagnato dalla più ampia diffusione delle idee e dal dialogo continuo tra elette ed elettrici.
Democrazia rappresentativa paritaria: un valore quantitativo, necessario ma non sufficiente.
La democrazia contemporanea, configurata nella rappresentanza, mostra disfunzioni originarie, tra cui – in forma eclatante – quella di genere.
A tal fine recenti modifiche costituzionali hanno introdotto la possibilità di azioni positive di riequilibrio.
L’art. 51, co. 1, della Costituzione sancisce che tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
L’art. 117, co. 7, della Costituzione sancisce altresì che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La finalità “promozionale” dettata dal Costituente per una equilibrata rappresentanza di entrambi i sessi – che dal punto di vista demografico non può che essere 50/50 – non deve tuttavia incidere sulla libertà di voto delle cittadine e dei cittadini. Pertanto le leggi elettorali, per risultare costituzionalmente legittime, debbono rispettare detta libertà.
La Legge Regionale Campania n. 4/2009 resta l’esempio positivo più recente di giusto equilibrio tra esigenze contrapposte.
Introducendo la cd. “preferenza di genere” il legislatore regionale attribuisce alle elettrici e agli elettori la possibilità di esprimere uno o due voti di preferenza; nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e una un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza .
La Corte Costituzionale con la sentenza 14 gennaio 2010 n. 4 ha dichiarato legittima tale previsione in quanto conforme ai principi di riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi sancita dagli artt. 51 e 117 Costituzione, già citati.
È evidente tuttavia che una rappresentanza equilibrata – che ad oggi è un obiettivo ancora molto lontano da raggiungere, come si evince dalle numerose statistiche sullo stato attuale di sottorappresentanza delle donne negli organi elettivi – è condizione necessaria ma non sufficiente per un reale rinnovamento della qualità della politica, nel significato auspicato dalle donne.
Per tale ragione la democrazia paritaria deve essere associata a nuove pratiche di partecipazione alla vita politica del Paese, arricchendo le attività dei partiti politici, degli organi elettivi e delle istituzioni ponendoli in continuo collegamento con la società civile.
Democrazia partecipativa, o qualità della politica.
J.S. Mill, nel saggio “Considerazioni sul governo rappresentativo” scriveva: “Ancora più salutare è il vantaggio acquisito con la partecipazione, sia pur rara, del cittadino privato alle questioni pubbliche. Egli è ivi chiamato a preoccuparsi di interessi che non sono i suoi; ad essere guidato, in caso di pretese in conflitto, da una norma diversa da quella suggerita dalla sua mentalità individualistica; a mettere incessantemente in pratica dei principi e delle massime la cui ragion d’essere è il bene pubblico. Ed egli trova in genere al suo fianco, in tale attività, persone più adusate a queste idee e a questo genere di attività; vicinanza che gioverà a fagli maggiormente comprendere gli interessi della collettività e a stimolarne il sentimento. Egli impara a sentire che fa parte di una collettività e che l’interesse pubblico è anche il suo”.
La partecipazione deve essere considerata come un elemento irrinunciabile in qualsivoglia regime che pretenda definirsi democratico, al pari di altri valori universalmente riconosciuti quali l’eguaglianza e la libertà.
Ed è questo quel che nelle odierne democrazie non sempre viene garantito, con conseguente sfiducia generale sulla capacità ed adeguatezza della politica contemporanea a relazionarsi con la società civile per soddisfarne i bisogni anche primari.
Per raggiungere tale obiettivo è bene che si aggiungano alla democrazia rappresentativa, in sé imperfetta, le pratiche partecipative, già in parte contemplate nel nostro ordinamento: si pensi al caso del bilancio partecipativo adottato da molti comuni o alle svariate forme di consultazione pubblica su progetti di opere pubbliche o alla partecipazione in ambito ambientale o urbanistico. Le pratiche partecipative implicano uno “spazio pubblico politico”, dinamico, non più riservato alle sole Istituzioni, comunque non organizzato, ma semmai concepito quale rete in cui si muove la società civile.
E proprio nella sedi di incontro tra istituzioni e società civile garantite dalle pratiche partecipative emerge la “sofferenza sociale” che la democrazia “corretta” può fronteggiare.
In questa prospettiva i saperi delle tecnocrazie che tendenzialmente governano nelle sedi decisionali delle democrazie contemporanee si fondono con i saperi quotidiani e si relazionano con le richieste concrete della cittadinanza.
Tuttavia ogni buona pratica partecipativa richiede determinati requisiti: un contesto di legalità diffuso, una forte esigenza di corretta informazione, pluralistica, il dialogo leale tra i vari attori del confronto, il reciproco riconoscimento e la mutua legittimazione, la rivitalizzazione delle assemblee pubbliche e delle mobilitazioni, la trasversalità dei vari livelli di incidenza (prima e dopo le decisioni pubbliche).
In questo contesto, che andrà gradatamente costruito, le donne dovranno pretendere un maggiore coinvolgimento nella vita politica – in senso sostanziale, e non solo formale – l’adozione di bilanci partecipativi di genere, la pratica diffusa delle assemblee pubbliche con la rappresentanza delle Istituzioni, consultazioni nelle candidature per le cariche elettive e per la formazione dell’agenda di governo.
Le donne, uscendo dall’isolamento dettato da politiche a loro ostili, hanno già avviato questo processo di democraticizzazione ed hanno così espresso la loro “sofferenza sociale”: “per anni abbiamo votato una rappresentanza irregolare, composta da una maggioranza schiacciante di uomini. Abbiamo votato in cambio di niente, infatti questo paese non ci somiglia, non ci racconta. Ma adesso basta. Adesso attenti: una donn,a un voto. Quando chiederanno il nostro voto non lo daremo più né per simpatia né per ideologia ma solo su programmi concreti e sulla certezza dell’impegno di 50% e di donne al Governo. Il 50% non è quota rosa, non serve a tutelare le donne, serve a contenere la presenza degli uomini non è un fine ma solo un mezzo per rendere il paese più vivibile ed equilibrato, più onesto più vero.” (Se non le donne, chi? Mobilitazione 11 dicembre 2011).
Antonella Anselmo – CP SNOQ
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