Corriere della sera
L’INTERVISTA
«Le società pubbliche o in Borsa
rispettino le quote di genere»
Fornero: la maternità? Congedi ripartiti tra i genitori
Si avvicina una nuova stagione di nomine ai vertici delle principali società quotate e pubbliche e il governo è impegnato a controllare che le imprese si adeguino fin da subito (i vincoli veri e propri scatteranno dopo l’estate) alla normativa sulle «quote di genere». «Le quote sono la negazione del merito, ma se certi processi non avvengono spontaneamente – e il tempo, al Paese, è stato dato – allora bisogna agire con una spinta più forte», dice Elsa Fornero, ministra per il Welfare e per le Pari opportunità. «Come ministero vigileremo affinché le normative sia rispettate. Sarei molto stupita se società quotate abituate a osservare le disposizioni non si adeguassero. E questo vale a maggior ragione per le società pubbliche: stiamo lavorando, anche in collaborazione con associazioni private che promuovono il lavoro delle donne, perché lo Stato rispetti i vincoli imposti dalle leggi. D’altra parte – prosegue – non si può più ricorrere al vecchio adagio per cui non ci sono abbastanza competenze: tutte le associazioni e i siti che si occupano di questo tema hanno provveduto a raccogliere curricula di donne in grado di sedere nei cda. E, poi, devo dire, non si è mai molto guardato alle competenze degli uomini, che magari siedono in ben più di un consiglio di amministrazione».
Ministra Fornero, parliamo di donne, ma sono state le più penalizzate dalla riforma delle pensioni, lo ha riconosciuto lei stessa.
«È vero. Ma su questo argomento bisogna fare prima un cappello introduttivo: la riforma delle pensioni era l’ingrediente portante nella strategia di arretramento rispetto al baratro finanziario in cui ci trovavamo. Questo spiega l’urgenza e l’incisività: bisognava convincere i mercati finanziari. Non dobbiamo dimenticarlo».
E le donne…
«Da tempo c’era l’idea di avvicinare l’età di pensionamento delle dipendenti private a quella delle dipendenti pubbliche e a quella degli uomini. Questo percorso era stato modificato solo pochi mesi prima della formazione del nuovo governo, ma quell’intervento non poteva tenere a causa della lunghezza del periodo di transizione. Mi prendo la responsabilità di aver pesantemente accelerato quel percorso. Le donne non godevano di un vantaggio, ma di una compensazione per tutti gli svantaggi subiti prima. I sindacati mi rimproverano duramente perché vedono solo il lato negativo di questa riforma, mentre io vedo quello positivo: si è ristabilita l’equità tra le generazioni. Noi parliamo spesso di ciò che viene negato ai giovani, ma quando si fa un passo verso il bilanciamento ci si dimentica di ciò che è positivo. Bene, ora che abbiamo cambiato le pensioni, dobbiamo buttarci a cambiare il mercato del lavoro: quel sistema pensionistico funziona se funziona bene il mercato del lavoro. A quel punto le donne potranno rivendicare di avere le stesse condizioni degli uomini: come accesso, come servizi, come bilanciamento nella famiglia rispetto al lavoro di cura. Il nostro è un Paese ancora molto arretrato, culturalmente e nei servizi, per quanto riguarda il bilanciamento nel lavoro di cura. Questo bilanciamento lo vogliamo realizzare e lo chiediamo a gran forza».
Ci sono donne che si sono ritirate dal lavoro per occuparsi dei genitori anziani, dei nipoti e ora vedono slittare di diversi anni la propria pensione. È giusto?
«L’obiezione è: sì, va bene, ma le chance prima non ce le avete date. Penso che ci siano momenti nella storia di ogni Paese in cui non si può guardare troppo ai torti subiti ma al futuro e a creare delle prospettive nuove. In cui bisogna avere il coraggio di chiudere con il passato e non andare a rivendicare ciò che ciascuno ha o non ha avuto».
La politica, però, non ha fatto grandi sacrifici.
«Questo non è vero, anche la politica ha dato l’esempio, cose che erano francamente inaccettabili ora sono state corrette. Il sistema pensionistico dei parlamentari è diventato contributivo a partire da gennaio, è un buon esempio. Ci sono margini per altri buoni esempi».
La riforma delle pensioni, però, è stata fatta senza confronto.
«È vero, c’era una questione di urgenza fortissima, e riconosco al sindacato, che pure non la accetta, di non aver fomentato l’opposizione. Sul lavoro ci deve essere dialogo, e spero che il sindacato si riesca a convincere della necessità di adottare delle misure che non sono una sola né poche: c’è la necessità di un intervento sul mercato del lavoro che tocca tutto. Per esempio, l’ordinamento dei contratti: ne abbiamo tanti, io non credo che siano i 46 che vengono dichiarati, molti sono varianti dello stesso, ma li stiamo analizzando uno per uno per vedere chi ha dato o meno buona prova».
Qual è il suo orientamento?
«Penso che si debba avere un contratto di riferimento, che deve essere il contratto a tempo indeterminato se parliamo di lavoro subordinato. Poi, il contratto a tempo determinato e forme di flessibilità. Ma non voglio entrare nel merito, questo è oggetto del percorso che stiamo facendo con le parti sociali».
Lei ha detto che l’articolo 18 non è il problema più importante.
«Noi vogliamo dare opportunità di lavoro a chi ne ha poco, soprattutto distribuire meglio le tutele che oggi sono molto concentrate e lasciano alcuni segmenti del lavoro assolutamente privi. Un obiettivo che ci vede lavorare all’unisono con i sindacati e con la parte datoriale è dare un contenuto vero all’apprendistato, come forma per imparare una professione, non come un veicolo di flessibilità».
Ha preannunciato una normativa per impedire il bruttissimo fenomeno delle dimissioni in bianco. Quando arriverà?
«Stiamo studiando un provvedimento che sia a tutela di un lavoratore che può essere in condizioni di inferiorità e costretto alle dimissioni, ma non vogliamo che sia una rivalsa nei confronti delle imprese».
È necessaria una riforma della legge sulla maternità?
«Ho già detto di essere favorevole al congedo per i padri. Ma anche qui, attenzione: non vogliamo caricare di costi le imprese, altrimenti finiamo per rendere più difficile trovare un lavoro, anziché più semplice. Penso che potremmo far riferimento ai disegni di legge già in discussione in Parlamento per pensare a ripartire il congedo tra i due genitori in modo che nessuno dei due prenda meno di un “x” per cento. Non vogliamo, cioè, aggiungere un congedo a quelli esistenti, perché anche in questo caso aumenteremmo gli oneri. Tutte le misure che stiamo adottando non devono implicare maggiori costi. Vogliamo razionalizzare le tutele – e quella della maternità è molto importante -, ridistribuirle, senza che costino di più alle imprese».
Lei ha detto che farete di tutto perché le produzioni di Fiat restino in Italia. Ma molte imprese stanno passando in mani straniere e molte imprese hanno già delocalizzato le produzioni. Qual è la misura per fermarle?
«Non c’è una sola misura, neanche la riforma del mercato del lavoro è bastevole. Quello che ci vuole sono gli investimenti: dobbiamo avere chiaro che se non abbiamo investimenti potremo, sì, trovare occasioni di lavoro ma non quei posti che possono far crescere il reddito dei lavoratori che noi vogliamo. È importante – sapendo che ci vuole del tempo e della pazienza – adottare misure coerenti con l’obiettivo di far crescere il Paese, non pensare di averle subito a portata di mano».
Maria Silvia Sacchi Domenica 5 febbraio 2012
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