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Le Associazioni femminili sono in rivolta contro le dichiarazioni di Elsa Fornero sulle dimissioni in bianco. Ne parliamo con Rosanna Oliva e Titti Di Salvo di Camilla Gaiaschi
lavoro diritti donne polemiche
In una lettera inviata al Corriere della Sera, la ministra del Welfare è tornata a difendere l’articolo 55 contenuto nella riforma del lavoro, attualmente all’esame in Commissione Senato, sul contrasto al fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco: “il governo” scrive la Fornero, “ha tenuto conto prioritariamente della tutela dei lavoratori, senza però dimenticare le esigenze dei datori di lavoro”, prevedendo cioè “una soluzione per dare corso a dimissioni volontarie annunciate dal lavoratore, ma dallo stesso successivamente confermate”. Sofismi che non piacciono a quelle donne che da settimane denunciano l’inefficacia della proposta Fornero nel contrastare quella pratica illegale, il più delle volte utilizzata per licenziare le neomamme, che consiste nel costringere il lavoratore o la lavoratrice a firmare una lettera di dimissioni senza data al momento dell’assunzione. “Sono dispiaciuta per questa vicenda” spiega Rosanna Oliva, presidente della Rete per la Parità e promotrice di una petizione che ha ispirato molti degli emendamenti presentati in Commissione, “dal governo Monti mi aspettavo qualcosa di più”. Sulla stessa linea Titti Di Salvo, relatrice nella passata legislatura della legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco, successivamente abrogata dal governo Berlusconi, e da cui prende il nome il Comitato 188 di cui è portavoce: “Sulle dimissioni in bianco si può fare di più” spiega di Salvo, “la ministra dice che bisogna trovare una mediazione tra interessi, ma una norma di civiltà come quella per impedire le dimissioni in bianco non può essere sottoposta a mediazioni”.Ma cosa rimproverano le militanti alla proposta Fornero? La mancanza, innanzitutto, di uno strumento preciso volto a prevenire “a monte” l’abuso della firma in bianco, agendo cioè sulle modalità di compilazione delle dimissioni: la legge 188, per esempio, obbligando a numerare il modulo, impediva di “truccarne” la data. La proposta Fornero invece prevede solo la convalida “a valle” della firma da parte del lavoratore e della lavoratrice: spetta a questi ultimi, come spiega Di Salvo “dover dimostrare che pur essendo autografa la firma della lettera di dimissioni è stata richiesta al momento dell’assunzione”. Una volta che il datore di lavoro ha inviato l’invito a convalidare la firma con una raccomandata, il lavoratore ha tempo sette giorni per rispondere. Se non lo fa, recita il testo, “il rapporto di lavoro si intende risolto”. “E se il lavoratore è in ferie o in ospedale”? Si chiede Rosanna Oliva. “La norma, in sostanza, lascia aperto lo spiraglio ai datori disonesti perché, a differenza di quanto dichiara la ministra Fornero, prevede un complesso iter che può sfociare nella risoluzione del rapporto di lavoro anche in assenza di convalida”. Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli.
(06 maggio 2012)
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