Ieri ho visto su La7 il secondo film della serie Caro Nanni.
Quando La stanza del figlio uscì, nel 2001, non andai a vederlo.
Troppo recente il mio dolore, misto a rabbia, ancora troppo recente il mio pianto durante il funerale, per la morte di Tito (il cui nome ricordava il nonno materno. Tito De Stefano), un ragazzo brillantemente laureato, che abitava nel mio palazzo, da bambino compagno di giochi dei miei figli.
E troppo recente, allora, il dolore per lo strazio della mamma (sopravvissuta a lui solo pochi anni) e dell’intera famiglia.
Da allora ogni anno l’Accademia Nazionale dei Lincei, al fine di onorare la memoria del Dott. Tito Maiani, prematuramente scomparso, con i fondi messi a disposizione dalla famiglia Maiani, anche a seguito di una pubblica sottoscrizione tra amici e colleghi, bandisce un concorso a un Premio, destinato a tesi di laurea su argomenti di ricerca riguardanti:
– lo studio sperimentale dell’Universo, anche in collegamento alla fisica delle particelle
elementari;
– la rilevazione di onde gravitazionali da sorgenti astrofisiche e cosmologiche;
– lo studio sperimentale delle proprietà del campo gravitazionale.
Tito era morto durante un’immersione e sembra che proprio a quella tragedia si sia ispirato Nanni Moretti.
Ieri sera non ho pianto.
Il film è asciutto, non cade mai nel melodramma, descrive con un rispetto che non è distacco i sentimenti che coinvolgono il padre, con i suoi sensi di colpa, la sorella e la madre, che si abbandona alla disperazione.
La stanza del figlio scava nella dinamica dei rapporti tra loro, fino a concludersi nell’ultima scena, che ricorda alcuni finali di Fellini altrettanto pieni di significato, con i tre non più uniti nell’abbraccio in cui avevano cercato conforto alla notizia dell’incidente.
Grazie, Caro Nanni. E grazie a La7.
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